Scopriamo il Tè, bevanda gentile che ha conquistato il mondo

Di Alberto Piastrellini

Dalla Cina del III Sec. alla diffusione globale, breve storia di un infuso che ha condizionato non solo le abitudini domestiche, ma anche il mercato e la creatività.

La casa lasciata in penombra in un silente pomeriggio d’inverno; l’unica luce è quella della lampada da lettura che rischiara la poltrona preferita, sul tavolinetto, accanto al libro, una tazza di tè espande il suo vapore aromatico…

Per molti è il momento di relax assoluto, magari vagheggiato lungo intere giornate di lavoro convulso; per tanti altri, nelle sue molteplici varianti, il piacere di una tazza di Tè diventa occasione per condividere insieme chiacchiere e golosità, come pure un istante di pausa nel rotolare delle ore.

Fatto sta che il in poco più di tre secoli ha conquistato il gusto dell’umanità finendo per diventare, oggi, la bevanda più consumata al mondo dopo l’acqua pura.

Cerchiamo di ripercorrere insieme il cammino di questo semplice infuso dal suo esordio semi leggendario nell’antica Cina ai fasti del XVIII e del XIX e Secolo rivelando pure che proprio il Tè è stato protagonista nella nascita della nazione americana!

La leggenda del Tè

Un popolare racconto cinese fa risalire la scoperta del Tè ad un antichissimo imperatore del passato il quale sostando a meditare sotto una pianta, si addormentò col paiolo dell’acqua a bollire sul fuoco accanto. Una provvida brezza fece volare alcune foglie dalla pianta nell’acqua e, al suo risveglio, l’imperatore volle provare quella bevanda dall’intenso e soave profumo: era nato il Tè!

In effetti i primi riscontri documentali sull’uso del Tè in Cina ci arrivano direttamente dal III Sec. d. C. allorquando l’infuso è utilizzato dai monaci nelle lunghe sessioni di meditazione. Nei secoli successivi il consumo di Tè come bevanda nobile e medicamentosa si allarga alle classi agiate di Cina e Giappone ove il consumo di Tè diventa una vera e propria filosofia di vita codificata e ritualizzata nella Cerimonia del Tè. Contemporaneamente si diffondono tecniche di coltivazione e trattamento delle foglie a vari gradi di raccolta, essiccazione e fermentazione, sino all’affumicatura che producono le diverse qualità di Tè: bianchi, verdi (cinesi e giapponesi), oolong e neri con centinaia di varianti.

Nel ‘600 il Tè arriva in Europa grazie ai Portoghesi e successivamente l’Olanda lo importa con regolarità grazie alla Compagnia Olandese delle Indie Orientali; ma sarà la Gran Bretagna a decretarne la fortuna commerciale globale grazie alla moda diffusasi nelle isole britanniche già a partire dalla prima metà del 1600, alla diffusione dell’Impero poi e all’aggressiva politica coloniale (il Tè verrà coltivato in India a partire dalla prima metà dell’800 proprio per soddisfare la crescente domanda interna ed internazionale bypassando il monopolio cinese).

Il Tè delle Cinque.

Tè e noblesse: un binomio decisamene consolidato nella storia della popolare bevanda.

Pare che la tradizionale abitudine tutta inglese di consumare Tè e pasticceria dolce/salata a metà pomeriggio derivi dall’abitudine della Contessa Anna di Bedfort che necessitando di un pasto leggero tra il pranzo e la cena (bontà sua), chiese alla sua cameriera di portarle in camera del Tè con qualcosa da mangiare. L’esperienza le piacque a tal punto da invitare ad analoghi conviti altre dame della buona società e la pratica si diffuse presso la nobiltà e l’alta borghesia (il Tè allora era una merce preziosa, da tenere sottochiave, per il popolo lavoratore c’era il Gin…).

Nella solida Inghilterra, le abitudini diventano tradizioni imprescindibili e ancora oggi, nelle Tea Room dei più prestigiosi alberghi che si rifanno ad un ideale di eleganza old style è possibile ordinare un semplice Low tea o un più impegnativo e goloso High tea (un vero e proprio pasto che prevede più portate) serviti nelle impeccabili porcellane prodotte già a partire dal XVII Sec. proprio per soddisfare le esigenze di una clientela esclusiva e golosa di sapori esotici (caffè, cioccolata e, naturalmente: Tè).

I benefici del Tè

Il Tè non è altro che una infusione in acqua delle foglie della pianta Camellia sinensis.

L’infusione estrae dalle foglie i principi attivi in loro contenuti, principalmente: caffeina (quando ci si riferisce al Tè la si chiama teina ma è la stessa sostanza, un alcaloide stimolante del sistema nervoso centrale), teanina (amminoacido psicoattivo), catechina (prezioso antiossidante presente soprattutto nel tè verde e nel tè bianco), teobromina e teofillina (alcaloidi stimolanti presenti anche nel caffè e nel cacao), e infine fluoruri.

Ovviamente questi principi sono presenti in quantità diverse a seconda del tipo di Tè e la stessa durata dell’infusione agisce sull’estrazione degli stessi; ad esempio una infusione prolungata attenua l’effetto della caffeina a causa del maggior acido tannico estratto, responsabile, tra l’altro, del gusto amaro. Inoltre, nel Tè, le proprietà eccitanti della caffeina/teina vengono “tamponate” dalla presenza dei polifenoli.

Combinare Tè diversi a seconda delle ore del giorno, dei pasti, e degli stati d’animo contribuisce ad amplificarne gli effetti: stimolanti e rilassanti al tempo stesso, anti età (grazie all’apporto di sostanze antiossidanti e Vitamina C).

Inoltre, il fluoruro contenuto nel Tè aiuta ha rafforzare lo smalto dei denti e a prevenire l’azione della placca

Ma non solo, i benefici stimolati del Tè fanno gola anche all’industria cosmetica che già da qualche anno ha iniziato a saccheggiare dalla cucina per sperimentare nuovi prodotti per il corpo e la bellezza.

E la nascita della nazione americana che c’entra?

Nella seconda metà del XVIII Secolo, le colonie americane poco digerivano le ingerenze del Governo britannico soprattutto in materia di tassazione di generi di consumo (come il Tè) e di rappresentanza. Nella notte del 16 dicembre 1773 un gruppo di giovani americani del gruppo patriottico Sons of Liberty, dopo essersi travestiti da indiani, diete l’assalto alle navi mercatili inglesi all’ancora nel porto di Boston gettando in mare le casse di Tè destinate alle colonie.

Il “Boston Tea Party” fu il prologo per la Guerra di indipendenza americana (1775).

Un percorso niente male per una semplice fogliolina “caduta” per caso in un paiolo d’acqua bollente più di 1.500 anni fa!




ORIGAMI, L’ARTE DI PIEGARE LA CARTA IN FORME SEMPRE NUOVE

Tra raffinato passatempo e forma di espressione simbolica, un’arte antica che richiede calma, concentrazione e tanta fantasia e creatività.

Di Alberto Piastrellini

Le dita della mano intente a realizzare pieghe precise nella carta washi e dopo pochi gesti, semplici e complessi al tempo stesso, ecco che dalla quasi bidimensionalità del foglio sboccia un piccolo miracolo in forma di coniglio.

La pratica dell’origami (l’arte giapponese del piegare la carta il cui nome deriva dall’unione dei termini oru: piegare e kami: carta), reca con sé tutto un portato a metà fra piacere, raffinato passatempo e meditazione tipico dell’approccio alla vita degli abitanti del Sol Levante, approccio che vede nella contemplazione e riproduzione inspirata e non pedissequa di forme naturali la più alta forma di penetrazione nell’essenza del mondo.

Foto di Giusy Fratepietro

Pratica, questa che si sposa con un ideale estetico estremamente profondo e minimale che da secoli accompagna la vita di tutti i giorni: “In verità tutte le cose piccole sono belle”, scriveva l’aristocratica poetessa giapponese Sei Shōnagon più di mille anni fa nella sua opera più nota “Note del guanciale” e ancora oggi questa considerazione sembra guidare la mano di artisti e artigiani di ogni sorta: nella musica, come nella pittura, nella letteratura come nelle arti minori.

Ma non è solo pura ricerca estetica quella che guida la creatività di tanti piegatori di carta giapponesi; in passato l’origami aveva un significato più profondo che richiamava principi filosofici e religiosi legati all’impermanenza delle cose umane, al ciclo della vita e della morte e alla sua accettazione come parte di un percorso più ampio.

Lo stesso materiale usato in quest’arte, la carta (il termine kami in giappone indica anche un oggetto di venerazione della fede shintoista e può anche indicare uno Spirito o un Dio), con la sua fragilità suggerisce l’effimero dell’uomo e delle sue produzioni; la forma che assume, con le pieghe, invece, può essere riprodotta nella sua essenza infinite volte.

C’è poi un altro aspetto che caratterizza l’origami, quello del dono simbolico, come nel caso del noshi che richiama la forma stilizzata di un mollusco marino che, tagliato ed essiccato, veniva offerto come dono cerimoniale già nel 1300, o della rana il cui significato simbolico risiede nella doppia interpretazione che il nome dell’anfibio assume (rana in giapponese si pronuncia kaeru, ma la parola in sé indica anche il concetto di “ritorno a casa”), senza contare la classica gru (simbolo di immortalità) o gli stupefacenti e complessi kusudama (che richiamano nella loro opulenza le sfere di fiori, spezie ed erbe medicinali che anticamente si usavano appendere all’esterno delle case per allontanare spiriti maligni e malattie).

Foto di Giusy Fratepietro

Forme animali e vegetali sempre più complesse e favolose caratterizzano la produzione origamistica mondiale oggi, che, uscita dal Giappone, da più di quarant’anni affascina i creativi di tutto il mondo generando associazioni, circoli, contest e gare a livello nazionale ed internazionale ove originalità, creatività, ingegno e fattura creano effimere opere d’arte perfettamente riproducibili (purché l’autore ne renda note le pieghe e la sequenzialità delle stesse).

Ma non solo, la tecnica dell’origami, così come la calligrafia, ha da subito intrigato i pedagogisti che vi ravvisano ottime caratteristiche per lo sviluppo della manualità e del pensiero nei più piccoli; senza contare che persino alcuni matematici (e sono tanti fra gli origamisti gli studiosi di numeri e geometria ed ingegneria) creano ed utilizzano modelli origami per spiegare i concetti di tassellazione dello spazio e per realizzare forme solide complesse (come i solidi platonici e i loro derivati) la cui produzione, con altre tecniche, sarebbe presso che impossibile.

 

E per chi volesse avvicinarsi a questa pratica?

Manuali e libri specializzati abbondano e sono continuamente pubblicati da svariate case editrici.
Naturalmente internet consente di scaricare una infinità di tutorial video in varie lingue, così come diversi autori e siti mettono a disposizione disegni e passaggi per realizzare questo o quel modello, dai più semplici ed intuitivi ai più complessi che richiedono, a volte, anche diverse decine di fogli piegati a moduli incastrabili fra di loro (perché la colla è severamente bandita!).

Tipi di carta, fanno la differenza: magari le prime volte ci si può cimentare nelle pieghe basilari con la semplice carta bianca da stampante, ma acquisita una certa dimestichezza, sarà il senso pratico, oltre che quello estetico di ognuno a spingere verso la sperimentazione con altre carte a seconda dei modelli da realizzare, tenendo presente che grammatura, flessibilità, porosità e “memoria” fanno la differenza, così come, textures della stampa, colori e disegni di fondo.

Lo stesso oggetto, realizzato con carte e colori diversi assume una sua personalità intrinseca e, nel caso degli origami modulari, poi, l’abbinamento cromatico produce effetti sempre nuovi e sorprendenti.

Foto di Giusy Fratepietro

Voglia di provare?

Spazio alla fantasia allora. Una volta entrati nel loop anche un vecchio ritaglio di carta vi sembrerà utile per sperimentare o per realizzare qualcosa di fragile ed effimero: per riempire un momento vuoto, per dare un tocco personale alla scrivania, per far giocare un bambino o semplicemente per lasciare una traccia di sè.

Foto di Giusy Fratepietro