I 50 anni di carriera di Antonella Ruggiero  

Dai Matia Bazar all’attività da solista, dalle vignette disegnate a Genova, al Festival di Sanremo, Antonella Ruggero a 360°

Ci siamo lasciati alle spalle il 2023, guardiamo avanti in questo 2024, verso il quale nutriamo aspettaive e speranze. Sarà l’anno in cui cadranno diversi importanti anniversari, anche nell’ambito artistico. Il 2024 è l’anno in cui cadrà il 50° anniversario dell’inizio della carriera canora di Antonella Ruggiero, la cui voce è tra i gioielli più preziosi del mondo musicale italiano. Fu leader dei Matia Bazar, una delle band più longeve nel panorama artistico del nostro paese, che tra gli anni settanta e ottanta ebbe un successo straordianrio. 

Ufficialmente la Ruggiero iniziò il proprio percorso di cantante nel 1974;  nata a Genova il 15 novembre 1952 crebbe in un periodo in cui il capoluogo ligure riuscì ad esprimere grandi artisti. A dire il vero Antonella da ragazzina sognava di fare un’altro tipo di arte: “quando ero molto giovane mi dedicai al disegno e alla pittura”, confidò alcuni anni fa ad una giornalista di un canale web. A confermare questa propensione alle arte visive da parte della Ruggiero, fu il suo collega dei Matia Bazar, Carlo (Bimbo) Marrale: “prima dei Matia Bazar, io e Antonella disegnavamo vignette per un giornale genovese che si chiamva Il Lunedì”

Poi accadde che, al “Peppermint 2000″ di Genova, si ritrovarono per caso alcuni componenti del gruppo musicale locale “Jet” e la Ruggiero, che era andata in quel contesto per seguire un concerto della Pfm. L’allora poco più che ventenne Antonella parlò con il produttore dei Jet (di cui facevano parte, tra gli altri, lo stesso Marrale, Aldo Stellita e Piero Cassano) chiedendo di avere la possibilità di far conoscere le proprie doti canore: le fu concesso un provino (dove cantò meravigliosamente bene il brano “You’ve got a friend” di Carole King) e fu subito “ospitata” nei Jet, i quali stavano incidendo l’ LP del genere progressive “Fede, speranza e carità”. In quattro e quattr’otto Antonella Ruggiero si fece notare per il carisma e la vivacità, che spinsero la band a fondare i “Matia Bazar”: “Matia” era il soprannome che veniva dato ad Antonella, “Bazar”, perchè loro si occupavano di tutto ciò che concernesse la loro attività, ovvero i testi, la musica, i concerti, i bozzetti delle copertine dei dischi e la loro attività era tutto un frenetico bazar. 

A fine anni ottanta la cantante genovese decide di lasciare il gruppo per iniziare l’attività da solista: “lavorare in gruppo vuol dire mediare continuamente -disse Antonella alcuni anni fa in un’intervista rilasciata in occasione di un concerto umbro- se tra i componenti della band non c’è sintonia, finisci per svolgere un lavoro che non è gioioso, non c’è aromonia. Per questo motivo, da anni, preferisco fare la solista, in quanto sono io che metto la faccia, che ho la responsabilità di ciò che faccio e i tempi e i luoghi del mio lavoro li decido io”. 

Con i Matia Bazar, la Ruggero è la voce di “Per un’ora d’amore”, “Cavallo Bianco”, “Solo tu”, “Stasera che sera”, “C’è tutto un mondo intorno”, “Vacanze romane”, “Elettrochoc”, “Mister Mandarino”, e tante altre entrate nella storia della musica italiana. Da solista Antonella ha sperimentato e realizzato ritmi e sonorità nuove, uniche, prendendo spunto dal passato, anche attraverso un lavoro spirituale, dove le emozioni, le esperienze con realtà lontane e la conoscenza straordinaria della musica e della voce, formano un prodotto artistico di qualità inarrivabile. 

Ha saputo passare dal Jazz alle sonorità indiane e orientaleggianti, ha trasformato in Tango “Vacanze romane”, “Ti sento” l’ha rigenerata con sonorità elettroniche in stile Jean Michel Jarre, ha riproposto, con nuove atmosfere musicali, canzoni a cavallo delle due guerre mondiali, come “Pinguino innamnorato” e “Non ti scordar di me”

Antonella Ruggiero ha saputo far evolvere le proprie competenze artistiche in modo totale, grazie anche alla sua grande propensione alla condivisione di idee e progetti, soprattutto con la curiosità che ha sempre avuto nel confrontarsi con gli artisti più giovani. 

Ha partecipato ad undici Festival di Sanremo, cinque nei Matia Banzar e sei come solista, conquistando una vittoria e due secondi posti. 

Da quel lontano 1974 ad oggi la musica è cambiata, gli stili, le tecnologie e i gusti del pubblico sono mutati in modo spaventoso, ma la bravuta e la voglia di sperimentare di Antonella Ruggiero è rimasta sempre quella, caratterizzata da qualità artistica invidiabile.       




Incenso: il profumo della Terra che parla al Cielo

Un viaggio tra aromi, Paesi e culture scritto su un’esile filo di fumo

Di Alberto Piastrellini

Un sottile filo di fumo azzurrino sale verso il soffitto e spande intorno un aroma sensuale che sa d’Oriente e di magia.

È l’incenso, prodotto di origine naturale che da sempre accompagna i momenti fondamentali della vita dall’Africa, all’Europa, dal vicino Oriente all’estremità dell’Asia intessendo un continuo dialogo tra religioni, riti, filosofie e semplice quotidianità.

Un dono della Natura che, oltre alle note proprietà aromatiche per il quale è universalmente conosciuto, nasconde anche caratteristiche interessanti dal punto di vista della salute e del benessere.

Cerchiamo di scoprirle insieme in un viaggio da Mille e Una Notte.

Il nome incenso designa genericamente tutta una serie di oleoresine secrete da piante del genere Boswellia. La Boswellia sacra, tipica dell’Oman meridionale (Dhofar) produce a partire dai 10 anni di età la resina lattescente che, fatta stillare mediante incisioni del tronco e lasciata asciugare al sole forma dei cristalli dorati ed ambrati di incenso. La raccolta, per non stressare troppo la pianta, avviene nel periodo aprile-ottobre e si effettua per non più di quattro volte l’anno.

L’incenso dell’Oman è storicamente il più noto e il più costoso data l’alta qualità delle sue caratteristiche.

In Arabia, Yemen ed Oman, l’uso dell’incenso non è legato alle pratiche liturgiche, ma viene usato quotidianamente come purificante degli ambienti domestici, per allontanare gli insetti fastidiosi per profumare vestiti e capelli. Inoltre, la farmacopea tradizionale gli attribuisce proprietà interessanti nel combattere le affezioni dell’apparato respiratorio (espettorante, anticatarrale e antisettico) mentre il suo olio essenziale viene distillato per la preparazione di profumi a base oleosa e per rimedi della pelle (cicatrizzanti ed astringenti).

Come semplice fonte di aroma naturale, il profumo dell’incenso induce un piacevole relax predisponendo la mente alla riflessione e alla meditazione (non a caso viene utilizzato nella preghiera in molte culture non solo orientali).

Malgrado manchino a tutt’oggi evidenze cliniche sulla sua assunzione in qualità di vero e proprio farmaco, la medicina ayurwedica lo consiglia per i dolori reumatici e come tonico.

La prudenza in questi casi è d’obbligo, tuttavia se ci fermiamo alla semplice degustazione olfattiva degli aromi sprigionati dalle resine naturali allora si apre un mondo di piaceri pressoché infiniti e che solo la visita ad un negozio specializzato consente di approcciare. In verità anche curiosare tra le bancarelle etniche e per gli eventi dedicati ai prodotti naturali è un buon modo per mettersi in caccia.

Scopriremo allora che nel variegato mondo dell’incenso vi sono tante resine consimili in grado di sprigionare con la combustione fumi aromatici dalle mille note diverse: il Makko (Machilus thunbergii), la Canfora del Borneo (Dryobalanops aromatica), il Benzoino di Sumatra (Styrax sp), il Guggul (Commiphora wightii), l’Incenso dorato (Boswellia papyrifera), il Balsamo del Tolu (Myroxylon toluifera), la Mirra (Mirra commiphora), il Labdano (Cistus monspeliensis), l’Opoponace (Commiphora opoponax), il Sandalo indiano bianco (Santalum album) lo Storace (Liquidambar orientalis) e tanti altri.

Per gustare questi aromi suadenti che vanno dal balsamico resinoso all’opulente rotondità dei sentori orientali dolci e secchi, occorre dotarsi di un piccolo bruciaincensi o turibolo; un contenitore in metallo, pietra o terracotta in grado di sopportare il calore dei carboncini a lenta combustione sui quali si spargono i grani di resina. I vapori, salendo, vengono raffreddati nella parte conica del turibolo al fine di esaltare gli aromi e farne esplodere le sfumature olfattive che si sprigionano dai vari fori che decorano il turibolo stesso.

In commercio se ne trovano di tutti i tipi e per tutte le tasche, sono oggetti affascinanti e preziosi tanto nelle forme tradizionali orientali che presentano decori e arabeschi voluttuosi, tanto nelle linee più moderne ed essenziali. In stile etnico o di design, l’importante è ricordarsi che durante la combustione del carboncino aumentano di molto la loro temperatura esterna, quindi è meglio non toccarli quando sono in funzione (a meno che non abbiano manici o piedistalli), né appoggiarli su superfici che potrebbero risentirne.

Un capitolo a parte lo merita il cosiddetto incenso in bastoncini o bastoncini d’incenso, vere e proprie ricette composte che mescolano non solo resine, ma anche frammenti di corteccia, fiori e foglie aromatiche polverizzati e “legati” ad una sottilissima essenza lignea che ne favorisce la combustione lenta in grado si sprigionare i fumi aromatici.

In questo caso le possibilità di mescolare essenze ed aromi sono ancora più variegate; attenzione, però che, nella miscela non siano presenti oli e sostanze di origine industriale o, comunque, non naturale (le resine pure in grani solitamente hanno un costo più elevato rispetto a conetti e bastoncini che si possono trovare ovunque a pochi Euro).

E per finire, una curiosità: nel lontano Giappone, all’incenso è dedicato tutto un cerimoniale a metà fra esclusivo passatempo, arte, meditazione e cammino di elevazione spirituale.

È il kodō, la Via dell’incenso che nasce dall’introduzione della tecnica dell’incenso impastato con altri aromi, introdotta in Giappone nel periodo Nara (710 d.C.-794 d. C) ad opera di un monaco buddista. Nei secoli il piacere di sperimentare raffinate combinazioni aromatiche in grado di interagire con l’umore ed il flusso delle stagioni ha prodotto incensi particolari (detti takimono) usati per profumare l’ambiente, i vestiti, i capelli, le pareti delle case tradizionali (in carta di riso) e, anticamente, anche stravaganti competizioni culturali ove è l’aroma dell’incenso (da indovinare a mo’ di gara) ad evocare questo o quel testo. L’incenso, quindi, come un elegante codice di comunicazione ipertestuale.